Psicoterapia
Approccio Sistemico-Relazionale
Questo approccio ebbe origine a partire da un vasto movimento di teorie e idee diffuse negli Stati Uniti durante gli anni cinquanta, in particolare le teorie della prima e seconda cibernetica. La “Scuola di Palo Alto” e il “Mental Research Institute“, con i loro maggiori esponenti (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, Paul Watzlawick), furono i principali centri di sviluppo della terapia sistemica familiare. Affonda le quindi le proprie radici nei contributi alla studio della comunicazione e dei sistemi e quelli psicodinamici, che oggi chiameremo relazionale, orientati allo studio trigenerazionale della famiglia, con il contributo di pionieri quali N. Ackerman, I. Boszormenyi-Nagy, J. Framo, M. Bowen, C. Whitaker.
Secondo l’approccio sistemico-relazionale i sintomi e il disagio del singolo individuo sono il risultato di un intersecarsi complesso tra esperienza soggettiva, qualità delle relazioni interpersonali più significative e capacità cognitive di autovalutazione della propria situazione. I concetti di base derivano dalla teoria dei sistemi e dalla cibernetica: ad esempio, tra i molti altri, quello di “sistema” e quello di “causalità circolare”. (per approfondimenti si veda Origini e storia della Terapia familiare).
Il mio approccio
L’approccio Sistemico-Relazionale è quello in cui principalmente mi riconosco e faccio riferimento (mi sono formato presso una scuola “Sistemico-relazionale”). Essendo però anche Psicologo sono sempre interessato ai contributi che altri indirizzi teorici, di ricerca e clinici forniscono alla pratica psicoterapeutica; ciò mi orienta verso un interessante e responsabile ecclettismo.
Scuole Sistemiche
Numerose scuole di formazione in Italia possono essere definite “sistemiche”. In un libro di Francesco Bruni e Giuseppe De Filippi (2007) dal titolo “La tela di Penelope: origini e sviluppi della terapia familiare” è riassunta la complessità di tale approccio da un punto di vista storico in Italia (Bibliografia). Navigando sui siti delle diverse scuole è possibile avere informazioni sulla provenienza e la storia di ognuna di loro (si veda la sezione Siti Internet Utili).
In Italia
In Italia, a cavallo tra la fine degli anni sessanta e settanta, Mara Selvini-Palazzoli (1916-1999) a Milano, poi Luigi Cancrini a Roma introducono l’approccio sistemico nella pratica clinica e psicoterapeutica. Si formeranno poi i cosiddetti gruppi “Milanese”, “Romano” e poi di “Bari”. La Scuola di Milano fondata nel 1968 da Mara Selvini-Palazzoli importa ed elabora le teorie sistemiche di Palo Alto, il primo gruppo romano guidato da Luigi Cancrini si lega maggiormente alle idee strategico-strutturali di J. Haley e S. Minuchin. Da tali gruppi gemmeranno e si svilupperanno numerose scuole di formazione sia dei “padri” della psicoterapia sistemico-relazione, che dei “figli” e poi dei “nipoti”. I padri della psicoterapia sistemica, prima psicoanalisti, inaugurano un modo diverso di fare Psicoterapia prendendo spunto dagli studi sulla comunicazione di Palo Alto (California), dal pensiero di Gregory Bateson, e poi da numerosi autori che Maurizio Andolfi ha definito “I pionieri della terapia familiare” (2003). Ne elenchiamo qui solo alcuni: Murray Bowen, Nathan Ackerman, Jay Haley, la stessa Mara Selvini Palazzoli, Milton Erickson, Salvador Minuchin, Carl Whitaker, Virginia Satir, James Framo.
Il Milan Approach di Selvini, Boscolo, Cecchin e Prata ha rivoluzionato il modo di fare Psicoterapia ed ha avuto un rilievo di importanza internazionale.
Caratteristiche
L’approccio sistemico ha come oggetto di studio privilegiato quanto avviene tra le persone e non le caratteristiche delle singole persone (le interazioni e le relazioni). Si pone attenzione alla comunicazione, alle interazioni, alle relazioni dei componenti il “sistema”. Centrale è l’analisi della totalità nel quale si colloca l’elemento singolo. Esempi di sistema sono: la famiglia e la coppia, ma anche l’individuo è un sistema. La psicopatologia non è vista come problematicità del singolo, ma come risultante di un sistema disfunzionale.
Evoluzioni teoriche
Dallo studio dei sistemi, della comunicazione e delle interazioni ci sono state evoluzioni teoriche con importanti ricadute sulla pratica clinica: pensiamo ai contributi delle neuroscienze per capire il funzionamento della mente riflessiva, l’empatia, i neuroni specchio, il cosiddetto “implicito”; il passagio dalla cosiddetta cibernetica di primo ordine (dei sistemi che osservano), a quella di secondo ordine (sistemi che si osservano), a quella di terzo ordine (dei sistemi culturali e linguistici), il costruttivismo, il costruzionismo sociale, il narrativismo. Inoltre oggi sembra esserci un importante riavvicinamento tra le scuole di psicoterapia, quantomeno su un piano teorico e di riflessione che porta a sottolineare delle tematiche comuni. Ha scritto Margherita Spagnuolo Lobb (2004): “E’ emersa una disponibilità nuova nel mondo della psicoterapia ad aprire le frontiere interne e interrogarsi su temi clinici che tutti – con linguaggi teorici diversi – affrontano“.
Tecniche
Sul piano della tecnica, esiste un notevole eclettismo; la terapia sistemica è piuttosto un modo generale di pensare che una pratica di intervento puntualmente definita (Sanavio e Cornoldi, 2001).
Figure di riferimento
Due delle sue opere più influenti sono Verso un’ecologia della Mente (Steps to an Ecology of Mind, 1972), e Mente e Natura (Mind and Nature, 1980). In vita, Bateson era famoso soprattutto per aver sviluppato la teoria del doppio legame per spiegare la schizofrenia.
E’ stato l’ispiratore dei lavori del Mental Research Institute di Palo Alto in California (conosciuta in seguito come Scuola di Palo Alto), che rivoluzionò l’approccio alla interpretazione della malattia mentalee ispirando un approccio alla psicoterapia alternativa alla psicoanalisi tradizionale, che si occupava principalmente del campo delle nevrosi e quindi era disgiunta dall’area delle psicosi e dei più gravi disturbi di personalità. Bateson può essere considerato il padre della terapia familiare ad orientamento sistemico.
Virginia Satir (1916-1988)
Lo psicoterapeuta
Definizione
È “la persona alla quale si chiede aiuto per risolvere i problemi e il disagio esistenziale, colui/lei che ha dedicato la sua vita a formarsi nell’aiuto terapeutico, che conosce le strategie adeguate e le differenti tecniche da applicare, possiede una filosofia terapeutica e sopratutto è motivato ad aiutare, per la sua storia personale e la vocazione a una professione di aiuto. Eticamente è responsabile del trattamento ed è tenuto a tenere sempre presente che, chi soffre e si colloca in una posizione di dipendenza dal suo terapeuta, è molto vulnerabile” (Alfredo Canevaro, 2010).
Diventare Psicoterapeuti
L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato a una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia, attivati ai sensi del DPR 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti[…].
Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione medica. Previo consenso del paziente, lo psicoterapeuta e il medico curante sono tenuti alla reciproca informazione.
Cosa non è
Lo Psichiatra è un medico specializzato in psichiatria e non è necessariamente Psicoterapeuta quindi non può fare Psicoterapia. Lo stesso dicasi per il Neurologo, il Neuropsichiatra che però condividono con lo Psicologo l’utilizzo di alcuni strumenti (es. Colloquio clinico). Lo Psicologo, lo Psichiatra, il Neurologo, il Neuropsichiatra non possono praticare la Psicoterapia se non specializzati.
Il Counsellor non è uno psicologo, quindi non può utilizzare gli strumenti propri dello psicologo e non può specializzarsi in Psicoterapia. Quando però si parla di Counselling psicologico si fa riferimento all’attività di counselling fatta da uno psicologo con specifiche competenze ed esperienze.
La relazione
Definizioni
La Relazione (dal latino referre: “portare qualcosa”, “riferire”) indica nel suo significato etimologico uno scambio, qualcosa che lega in qualche modo una cosa a un’altra. In Psicologia può essere considerata come fenomeno originario rispetto alla costituzione individuale, nel senso che l’individuo si costituisce sempre a partire da una relazione e non come individualità isolata che instaura relazioni (adatt. da Galimberti, 2003). Pensiamo al bambino neonato: “appena nasce, subito tutti gli stanno addosso, lo salutano, fanno scene grandiose per la nascita e dicono “Ci sei, ci sei” tanto che dopo un po gli danno un nome”. Non c’è niente al di fuori della relazione; […] l’essere umano esiste solo in relazione a qualcuno. Se non c’è relazione questa persona non c’è. (tratto da Cecchin, 2008).
La Relazione in Terapia
Per spiegare la Relazione in Terapia ci serviamo dei concetti Psicoanalitici di Transfert e Contro-Transfert. Il primo riguarda il Paziente, il secondo il Terapeuta. In generale il Transfert designa un meccanismo psicologico inconscio per il quale una persona proiettata e riproduce su altre persone (es. Psicoterapeuta), modalità di relazioni più antiche e in particolare situazioni conflittuali infantili verso i genitori o quelle persone che sono state particolarmente significative per il soggetto (caregivers) e introiettate. In particolare è la condizione emotiva che caratterizza la relazione tra il Paziente nei confronti del Terapeuta, e in senso specifico il trasferimento sulla persona del Terapeuta delle rappresentazioni inconsce proprie del Paziente. Il transfert del Terapeuta sul Paziente è chiamato Contro-Transfert. (fonti: Galimberti, 2003; Godfryd, 1994; Sillamy, 1995).
Il fine della Relazione Terapeutica
La relazione terapeutica ha dei fini ineludibili: aumentare la conoscenza che si ha di sé e degli altri e migliorarne la capacità di modulare le emozioni penose che il vivere umano sembra necessariamente comportare (Liotti e La Rosa, 1991).
Il paziente
“Le persone non chiedono una psicoterapia ma esprimono una sofferenza e saranno i tecnici a convogliare questa richiesta verso una risposta più o meno adeguata” (Andolfi, 2009).
Definizione
In quanti modi è possibile denominare chi chiede aiuto? Si potrebbe parlare di persona (dal latino “maschera” o “personaggio” e più tardi “il complesso delle qualità di un uomo/donna”), o utilizzare il termine cliente (dal latino “osservare”, “rispettare”, “presto ascolto”) o più banalmente paziente (dal latino “che soffre”, “patisce”) o infine utente (dal latino “colui che fa uso o gode di una cosa”)? Tali diversità terminologiche emergono dai differenti contesti in cui c’è qualcuno che chiede aiuto e dall’approccio cui lo Psicologo fa riferimento.
Quel che è certo è che chi chiede aiuto è uno dei protagonisti o quanto meno bisogna che lo sia.
Il paziente è protagonista perché: “… conosce la propria vita e deciderà che cosa dire, quando e come, al terapeuta, man mano che la sua fiducia aumenta e la sua paura diminuisce. La malafede è l’unica contraddizione assoluta della psicoterapia. Noi terapeuti non possiamo che prendere per buono quello che i pazienti dicono”. (A. Canevaro, 2010).
Gli obiettivi del paziente
Gli obiettivi dei pazienti sono in generale molto specifici e comportano oltre il sollievo da sintomi penosi, il tentativo di risolvere i problemi esistenziali più urgenti.
Alcuni esempi:
- bisogno di trovare un progetto esistenziale soddisfacente;
- potersi staccare da una famiglia di origine vissuta spesso come soffocante o patogena;
- riuscire a creare legami sentimentali soddisfacenti e duraturi;
- superare la perdita di un familiare significativo o di un legame sentimentale.
- ecc.
I disturbi
“Primo, non curare chi è normale” (Allen Frances, 2013)
Le principali aree d’intervento di cui mi occupo
Le aree d’intervento qui indicate fanno riferimento ai criteri diagnostici del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali (DSM IV-TR dell’APA – American Psichiatric Association; ora aggiornato al DSM V), alla Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10 della OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità). Tale approccio è definito “descrittivo“.
Definizione
L’ansia è espressione di un conflitto interno che è importante indagare per poi rielaborarlo. E’ una forma di paura, un campanello d’allarme lanciato dall’Io che avverte un pericolo che va individuato. L’Io continua a svolgere le sue funzioni anche se con disagio e difficoltà. Il rapporto con la realtà appare quindi mantenuto. (Falabella, 2002). L’ansia non è di per sè un fenomeno patologico, ma assolve una importante funzione adattativa.
Il problema
Il problema dei disturbi d’ansia non è la presenza dell’ansia in quanto tale, ma la sua presenza eccessiva al di fuori di un contesto realistico di allarme e di minaccia (Beck e Emery, 1985).
Cosa fare?
Tali tipologie di problemi fanno parte della vita. Ma se il problema perdura da molto tempo e rende difficile (impossibile!) la vita personale, relazionale, lavorativa, sociale o solo una di queste è utile chiedere aiuto ad un professionista.
- Attacchi di Panico
- Fobie
- Disturbo Ossessivo-Compulsivo
- Disturbo Post Traumatico da Stress
- Disturbo Acuto da Stress
- Disturbo d’Ansia Generalizzato
L’Umore è la tonalità o disposizione affettiva di base, ricca di tutte le istanze emozionali e istintive, che attribuisce ad ognuno dei nostri stati d’animo una tonalità gradevole o sgradevole, oscillanti tra i due poli estremi del piacere e del dolore. (Godfryd, 1994). I disturbi dell’umore hanno come carattersitica predominante l’alterazione del tono dell’umore. Circa il 7-14% della popolazione soffre di qualche disturbo di questi tipi di disturbo (fonte: Manfredonia e Gazzillo, 2004).
Cosa sono
I Disturbi dell’Umore sono suddivisi in due grandi categorie: disturbi Depressivi (Maggiore e Distimico) e Disturbi Bipolari (Bipolare I, II e Ciclotimico). E’ possibile distinguerli, descriverli e diagnosticarli facendo riferimento alle caratteristiche di specifici Episodi di alterazione dell’umore che sono caratterizzati da determinati segni e sintomi; esempi di Episodi sono: “episodio depressivo maggiore”, un “episodio maniacale” o “ipomaniacale” e uno misto che tiene in sè l’uno e l’altro.
Disturbo Depressivo
Disturbo Bipolare
- Bipolare I
- Bipolare II
- Ciclotimico
Definizione di Personalità
Un’organizzazione di modi di essere, di conoscere e di agire, che assicura unità, coerenza, continuità, stabilità e progettualità alle relazioni dell’individuo con il mondo[…] Si ha motivo di ritenere che la personalità sia una costruzione che si compie nel corso dello sviluppo individuale attraverso i continui scambi che si realizzano tra l’organismo e l’ambiente (da Caprara e Pastorelli, 1997).
Il Disturbo di Personalità
Le persone che hanno un disturbo di Personalità seguono un modello di rappresentazione mentale, di comportamento e di esperienza interiore che devìa marcatamente rispetto alle aspettative della cultura di appartenenza. Tale modello è inflessibile e pervasivo. Determina un disagio clinicamente significativo, compromette il funzionamento sociale, lavorativo e altre aree di vita. E’ un disturbo rigido su cui si radica la personalità dell’individuo, la sua organizzazione mentale e il suo equilibrio (da Falabella, 2002). (si veda tabella sotto). Tale modello si manifesta nelle aree della Cognitività (modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri, gli avvenimenti), Affettività (varietà, intensità, labilità, adeguatezza risposta emotiva), Funzionamento Interpersonale, Controllo degli impulsi.
La diagnosi di disturbo di personalità si basa sul funzionamento a lungo termine della persona, aldilà degli eventuali eventi stressannti specifici, al di là dei vari sintomi, al di là dei periodi più o meno lunghi di difficoltà o di crisi (Sanavio & Cornoldi, 2002).
PRINCIPALI DISTURBI DI PERSONALITA’
GRUPPO | DISTURBO | ALCUNE CARATTERISTICHE |
A | Paranoide | Presentano atteggiamenti eccentrici o comunque fuori dal comune. |
A | Schizoide | Presentano atteggiamenti eccentrici o comunque fuori dal comune. |
A | Schizotipico | Presentano atteggiamenti eccentrici o comunque fuori dal comune. |
B | Antisociale | Spesso appaiono imprevedibili, inaffidabili, impulsivi. |
B | Borderline | Spesso appaiono imprevedibili, inaffidabili, impulsivi. |
B | Istrionico | Spesso appaiono imprevedibili, inaffidabili, impulsivi. |
B | Narcisistico | Spesso appaiono imprevedibili, inaffidabili, impulsivi. |
C | Evitante | Appiono spesso paurosi. |
C | Dipendente | Appiono spesso paurosi. |
C | Ossessivo- Compulsivo | Appiono spesso paurosi. |
Definizione
Con le locuzioni Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), o Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP), si indicano quelle problematiche che concernono il rapporto tra gli individui e il cibo.
Prima si credeva che tali disturbi (sopratutto l’anoressia e la bulimia) riguardassero solo le donne adolescenti; sono numerosi i casi di uomini anoressici anche adulti, di anziani e anche bambini con DCA. In percentuale però la casistica è ampiamente sbilanciata verso le ragazze adolescenti.
Tipologie Principali
I DCA sono stati suddivisi in cinque tipologie principali:
- Anoressia nervosa.
- Bulimia nervosa.
- Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder).
- Obesità.
- Picacismo.
Ogni tipologia ha diverse varianti e sottotipologie. E’ importante sottolineare che questa classificazione non è rigida, e che i pazienti tendono a muoversi più o meno facilmente da un tipo (o da un sottotipo) a un altro, in relazione alla risposta alla terapia, alla natura del loro carattere etc.
Alcuni disturbi solitamente vengono diagnosticati per la prima volta, nell’Infanzia, nella Fanciullezza o nell’adolescenza. Questo non accade sempre almeno per i disturbi particolarmehte evidenti (es. disturbi della comunicazione, disturbi pervasivi dello sviluppo).
Nella tabella sotto sono elencati.
Denominazione | Articolazione | Note |
Ritardo Mentale | ||
Disturbi dell’apprendimento |
| Per approfondimenti si veda nel Sito l’area Psicologia Scolastica |
Disturbi della Comunicazione |
| |
Disturbi Pervasivi dello Sviluppo |
| Oggi si parla di Disturbo dello spettro autistico. Questi disturbi toccano tutti le aree della comunicazione verbale e non verbale e della relazione. |
Disturbo da Deficit di Attenzione e da Comportamento Dirompente |
| |
Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione dell’Infanzia o della prima Fanciullezza. |
| Si veda anche nel Sito i Disturbi del Comportamento Alimentare. |
Disturbi da Tic |
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Disturbi della Evacuazione |
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Altri Disturbi dell’Infanzia, della Fanciullezza e dell’Adolescenza. |
| Si veda anche nel Sito i Disturbi d’Ansia. |
Definizione
I disturbi somatoformi hanno in comune il fatto che il soggetto esprime il disagio psichico attraverso il corpo. La presenza di sintomi fisici fanno pensare a malattie di natura somatica. (Fonti: Falabella, 2002; Lingiardi, 2004).
Il problema
In generale questi disturbi rientrano nell’ambito di una grave nevrosi. Infatti il conflitto nevrotico non è mentalizzato e quindi spostato su un piano somatico.
Quali sono?
- Disturbo di Somatizzazione
- Disturbo di Conversione
- Disturbo Algico
- Ipocondria
- Dismorfismo Corporeo
Caratteristiche
- Produzione o simulazione intenzionale di segni o sintomi fisici o psichici;
- La motivazione di tale comportamento è di assumere il ruolo di malato;
- Sono assenti incentivi esterni per tale comportamento. (Fonte: DSM-IV-TR)
La patologia fittizia – che deve essere distinta dall’ipocondria, da manifestazioni iatrogene, dalla non compliance o da artifici di laboratorio – prende comunemente il nome di sindrome di Munchausen. Il nome della sindrome deriva dal Barone di Münchhausen (Freiherr Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen, 1720-1797), un nobile tedesco, che era noto per raccontare molte storie fantastiche ed inverosimili su se stesso.
In cosa consiste?
Le persone con tale sindrome fingono la malattia od un trauma psicologico per attirare attenzione e simpatia verso di sé.
La sindrome di Munchausen è legata alla sindrome di Münchausen per procura, il cui disturbo mentale affligge per lo più donne madri che arrecano un danno fisico al figlio/a per attirare l’attenzione su di sé. Una lettura psicoanalitica e psicodinamica direbbe che il bambino viene usato per appagare un desiderio, inconscio, del genitore di mettere in atto un dramma personale e rinforzare la relazione con medici o ambiente ospedaliero.
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Per ogni “area d’intervento specifica” è possibile effettuare una psicodiagnosi e co-progettare un trattamento mirato.